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Kentucky River di Mauro Boselli e Angelo Stano | Recensione

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L’epopea americana raccontata da Mauro Boselli e Angelo  Stano prosegue. Dopo la guerra dei Sette Anni (raccontata all’interno di Mohawk River), questa volta entriamo in piena Guerra d’Indipendenza. La storia della famiglia Chapman è stata già protagonista di Mohawk River. Ed a circa vent’anni di distanza (era il 1756, ora siamo nel 1775) il percorso dei protagonisti continua ad essere orientato verso il conflitto ed il tentativo di trovare pace e indipendenza nelle terre d’America.

Lo scontro che si profila in questa nuova avventura riguarda i coloni americani contro gli inglesi. Al fianco delle forze britanniche sono schierati gli indiani Shawnee, pronti a uccidere gli uomini delle forze ribelli, ed a prendere in ostaggio le donne. Si tratta di una guerra a tutto campo, nella quale a farla da padrone in questa storia sono le vicende dei personaggi della famiglia Chapman e dei Rivers.

Mauro Boselli è un fine conoscitore della storia del West, e dell’epopea americana. L’intento di raccontare storie riguardanti personaggi specifici, mettendo sullo sfondo vicende realmente accadute nella storia degli Stati Uniti, è sicuramente intrigate.

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Certo però non è semplice raccontare vicende storiche articolate e complesse, inserendole all’interno di intrecci narrativi che devono creare una certa empatia nel lettore. E questo continua ad essere il difetto di questo ciclo di storie di Mauro Boselli. Le vicende sono ben narrate, ed anche i personaggi riescono a calarsi nel contesto storico raccontato, ma manca quel po’ di introspezione e approfondimento dei protagonisti che gioverebbe molto alla storia.

Kentucky River è disegnato da Angelo Stano, un maestro della Sergio Bonelli Editore e del fumetto italiano in generale. Il tocco di Stano in questa storia si fa un po’ più grezzo, reso anche meno espressivo dai colori realizzati dallo stesso disegnatore. Ma ciò che risulta leggermente depotenziato nel tratto del disegno viene compensato da un’attenzione ed espressività dei colori piuttosto importante.

Stano riesce a dare vivacità alle tavole con una colorazione quasi acquerellata, creando uno stile che si avvicina molto all’impressionismo. Si respira quindi un’atmosfera figlia (più o meno) di quei tempi, di quell’America di fine Settecento, non arrivata ancora nel pieno dell’epoca West, ma ricca di scontri e di territori da conquistare.

E del resto è questo l’elemento che dona il fascino di quei tempi (altrimenti frutto di un’epoca in cui la morte e le lotte di potere la facevano da padrone): l’idea di ritrovarsi catapultati all’interno di territorio nuovi, apparentemente immensi, e tutti da vivere e conquistare.

Gli  Stati Uniti (non ancora ufficialmente riconosciuti come tali) sono a fine Settecento una terra promessa, un luogo ricco di prospettive, e chiaramente d’interessi. In un mondo quali è quello che viviamo oggi non esistono territori così ampi ancora da scoprire e vivere (almeno non su questa Terra).

Oggi la belligeranza fa paura, ed è sinonimo di dramma. Ma, in un’epoca in cui le armi non risultavano essere ancora strumenti così potenti e capaci di creare distruzioni di massa, la tattica militare, il coraggio e l’audacia nel voler prevalere sono tutti elementi figli di un certo romanticismo.

E sono questi i punti su cui fa leva Kentucky River. Mauro Boselli ed Angelo Stano sono comunque riusciti ad offrirci atmosfere di un’epoca lontana, e che, nonostante tutto, continua ad affascinare e ad essere sinonimo di avventura e romanticismo.

 

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La sedia del diavolo di Germano Massenzio | Recensione

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Un bocconcino da assaggiare come un diplomatico colmo di zucchero a velo: si affonda la bocca in strati e strati di storia del luogo (i Monti Dauni) assaporando la croccantezza di una narrazione nostalgica, afosa e fresca al tempo stesso, oltre a riuscire a sentire l’odore pungente tipico del grano appena tagliato.

La fotografia del paese di Motta Montecorvino e della sua bellezza viene data direttamente dal suo autore e dai suoi ricordi in un periodo di vacanze. Tramite gli occhi di Massenzio, percepiamo lo scorrere del tempo nel paese e nell’ambiente circostante che si ritrovano a dover subire inerme i cambiamenti e le evoluzioni tecnologiche.
In un’alternanza di momenti a colori e in bicromia, l’autore de La sedia del diavolo, pubblicata dalla casa editrice napoletana Douglas Edizioni, si cala in una linea temporale indefinita del passato per farci vedere con i suoi occhi i campi dauni e l’imponente rudere che da quasi mille anni li sorveglia. I residui di una vecchia cittadella medievale, in seguito a un assalto nel 1137, hanno sempre più assunto le sembianze di una grande ed elegante sedia: deriva da qui il nome di “Sedia del Diavolo” (da non confondere con la tomba di Elio Callisto, situata a Roma). La costruzione (o perlomeno, quel che ne rimane) deve cercare di “fare amicizia” con le nuove pale eoliche che sono state montate intorno a lei, sottolineando l’eterna lotta tra vecchio e nuovo, tra arte e tecnologia, tra paesaggio ed energia. Sì, perché un altro dei temi affrontati all’interno del volumetto c’è anche il deturpamento del paesaggio dovuto all’installazione inflazionata di pale eoliche lungo le sommità dei Monti Dauni.

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La tecnica mista usata da Germano Massenzio rende meglio la distinzione dei momenti narrativi all’interno del volumetto: caldi acquerelli dipingono il tramonto pugliese sui campi di grano, mentre una bicromia bianco/nero porta dentro la dimensione del ricordo, del sogno e della fantasia. Grazie all’alternanza del colore, l’autore regala al lettore anche l’opinione del rudere, facendola parlare ed esprimere i propri sentimenti; scopriamo che la Sedia del Diavolo, a dispetto del suo nome maligno, si rivela essere una specie di “vecchietta” solitaria che cerca di parlare alle nuove generazioni e mettersi al proprio livello, portando in risalto l’annoso problema del dialogo tra le diverse generazioni, tra chi porta innovazione e progresso (?) e chi invece cerca di salvare e preservare i ricordi di un passato che non tornerà più.

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Il volumetto è inoltre corredato da una nota storica stilata da Francesca Capone, referente del settore fumetto della Biblioteca di Foggia, che amplia ancora di più la conoscenza e l’immaginario dell’ex torre medievale, spingendo il lettore sempre più verso il territorio che separa la Puglia dal Molise. Una storia che nasce nei ricordi ed è destinata a essere senza tempo, sospesa in un punto del mondo a combattere costantemente contro un progresso tecnologico deturpante.

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H.P. Lovecraft – La musica di Erich Zann e altri racconti | Recensione

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Che la Nicola Pesce Editore avesse un debole per H.P. Lovecraft l’avevamo capito da tempo (ecco giusto due esempi di opere edite dalla NPE dedicate al celebre autore), ma che proprio i volumi dedicati allo scrittore di Providence fossero capaci di proporre il meglio del fumetto d’autore italiano non era così scontato.

Sergio Vanello ha realizzato le storie di questo volume, spaziando tra i racconti di H.P. Lovecraft, e utilizzandoli per offrire attraverso i suoi testi e disegni il meglio delle atmosfere dello scrittore americano.

La Musica di Erich Zann” vede come protagonista un giovane che, avventurandosi per le strade di Rue d’Auseil, viene attratto dalla musica di un violinista, dai suoni così strazianti e capaci di evocare mostruosità.

Mentre inSansaraè raccontata la storia di un vampiro, esaltando il livello introspettivo del personaggio. Infine, “Un’Illustrazione e una Vecchia Casaha come protagonista un giovane ed un libro custodito da un anziano, nel quale è presente un’illustrazione letteralmente scioccante.

A differenza di molte trasposizioni a fumetti di opere letterarie, questo volume di Sergio Vanello riesce a rispettare lo spirito lovecraftiano (anzi, lo esalta), risultando però anche fruibile ed appropriato per il media fumetto. Ad esempio, nonostante la prima storia sia tutta narrata attraverso didascalie riesce ad avere il giusto ritmo, e a non appesantire la lettura.

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Le parole di Lovecraft scorrono accompagnate dalle immagini realizzate con i disegni di Sergio Vanello, avvolgendo il lettore, creando suggestione, e “bellezza”. Sì perché lo stile di disegno di Vanello è molto evocativo, e pittorico. Il fumettista usa anche per i colori un tratto pennellato che tende ad essere impressionista, l’ideale per le storie di Lovecraft.

Il fatto che i disegni suggeriscano delle atmosfere anziché fornire tutti i dettagli visivi esalta i testi e le intenzioni dello stesso scrittore di Providence. La scrittura di Lovecraft è fatta infatti di molti non scritti: tende a volte a non riuscire nemmeno a descrivere l’orrore di certe visioni, e tutto questo sfocia spesso nella discesa nella follia del protagonista.

In H.P. Lovecraft – La musica di Erich Zann e altri racconti c’è infatti tutto ciò che un lettore dello scrittore di Providence si aspetterebbe da una sua trasposizione a fumetti: c’è l’atmosfera, la suggestione, il non chiaro e rarefatto. Perché l’orrore raccontato dall’autore statunitense non è mai veramente visibile, e comprensibile fino in fondo.

Tutto ciò rende spesso difficile raccontare per immagini le storie di Lovecrat. Di solito molti fumettisti o registi cercano di aggirare il tutto proponendo grandi e minacciosi mostri marini, sfociando più nel fantasy che nell’horror puro. Ma Vanello propone il contrario.

H.P. Lovecraft – La musica di Erich Zann e altri racconti è perciò un volume di pregio e di assoluto valore. Si punta più sulla qualità che sulla quantità, visto che le tre storie a fumetti proposte non superano nel complesso le 96 pagine. Ma si tratta di una raccolta meritevole di lettura, e capace di arricchire una collezione fatta di volumi di pregio, di stampo autoriale.

Perché la qualità e la ricercatezza artistica c’è tutta, e Sergio Vanello ha centrato in pieno lo spirito di Lovecraft, e le immagini capaci di raccontarlo al meglio.

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Tex 706 – Il Club dei Tredici | Recensione

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Il mini ciclo narrativo avviato con il precedente albo (intitolato La Maschera di Cera) sta sempre più portando Tex e Kit Carson all’interno di un percorso tortuoso, misterioso, e capace di rievocare fantasmi dal passato.

Mauro Boselli è l’autore che in assoluto sa maneggiare Tex in tutto e per tutto (essendone oltre che sceneggiatore anche curatore). E per questo motivo può stupire fino ad un certo punto il fatto che quando Boselli prova a spingere Aquila della Notte verso una storia di puro genere, il livello narrativo dell’albo decolli risultando veramente brillante.

Il Club dei Tredici vede Tex e Kit ancora a Los Angeles, alla ricerca della scomparsa Joan Fischer. I due ritroveranno la ragazza, ma i misteri sono appena iniziati. I sospetti sull’artefice del rapimento portano i due pards verso il cosiddetto Club dei Tredici, un gruppo esclusivo di uomini che sembrano aver molto da nascondere. Ma, sopra tutto e tutti, aleggia ancora la maschera di cera, dietro la cui identità si nasconde un personaggio che ha molto a che fare col passato di Tex.

Insomma, così come sottolineato in precedenza, quando Mauro Boselli decide di spingere su determinate corde ci riesce benissimo. Nonostante si tratti dello sceneggiatore più proficuo in casa Bonelli (il che lo porta a produrre incessantemente ed a lungo termine, facendogli raggiungere anche dei momenti di stanca) Boselli quando è ispirato a dovere sa offrire delle storie di valore assoluto. 

Il mini ciclo narrativo aperto con La Maschera di Cera sembra proprio essere una di quelle storie ispirate, capace di mischiare il presente con il passato, e probabilmente anche con il futuro di Tex. E Boselli in questo è veramente “il” maestro. La sua capacità di tirar fuori dalla tradizione texiana dei piccoli personaggi mettendoli al centro di storie importanti è una delle sue più grandi qualità.

Per questo motivo il personaggio che si cela dietro la maschera di cera promette nel prossimo albo (quando tutti i nodi verranno al pettine) di esprimere al meglio il potenziale drammatico di questo ciclo narrativo.

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Ad accompagnare i testi di Boselli ci sono i disegni di Michele Benevento, il quale riesce, con il suo tocco ricco di espressività e che non si risparmia coi dettagli, a rievocare i maestri della Storia texiana. 

Insomma, Il Club dei Tredici è un albo confezionato a dovere, che sa accompagnare un’ottima storia dai disegni notevoli. Si tratta di qualcosa di più di un albo da leggere sotto l’ombrellone durante questa calda estate. Se il prossimo numero saprà sprigionare il potenziale drammatico del personaggio che si nasconde dietro la maschera di cera forse potremmo parlare di una storia memorabile.

Del resto sono questi gli elementi che rendono la saga di  Tex così dura a morire (ovviamente noi ci auguriamo che non muoia mai): nonostante stiamo parlando del fumetto popolare per eccellenza, le storie di Aquila della Notte riescono in maniera sottile ad avvicinare il lettore di passaggio così come il cultore.

Sono tanti i dettagli, l’attenzione storica, la ricerca della qualità, la profondità dei personaggi e la qualità narrativa proposti nella maniera più semplice ed efficace possibile. E poi a corredo di tutto abbiamo un canovaccio di base ed un personaggio che erano precursori dei tempi già nel 1948, ed oggi sono diventanti una macchina da capolavoro (nel senso di proporre storie “sgangherate e sgangherabili”, così come diceva il grande Umberto Eco).

Tutto ciò dà vita alla tradizione di Tex che vive tutt’oggi, e che dà merito a chi, come Mauro Boselli, la sta portando avanti al meglio nel tempo.

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The Doomsday Machine 1-3 | Recensione

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Nell’ambito fumettistico italiano si distingue Leviathan Labs, un collettivo di scrittori e disegnatori che un tempo avevano a che fare con la Book Maker Comics. In seguito hanno realizzato e promosso numerosi prodotti, collaborando anche con diverse case editrici statunitensi. Oggi collaborano attivamente con Double Shot e svariate etichette come Amigo Comics, Scout Comics e Action Lab, tra le altre. Ma non mancano fumetti pubblicati con il marchio Leviathan Labs.

Per esempio, è il caso di The Doomsday Machine. Finora sono usciti tre numeri e coloro che li leggeranno si accorgeranno che non si tratta di una proposta qualsiasi. Potremmo classificarla nel genere fantascientifico cyberpunk. D’altronde, non mancano riferimenti alle realtà virtuali e alle intelligenze artificiali, ma neanche elementi mutuati dalla science-fiction catastrofica. Le storie sono infatti ambientate in un futuro distopico e agghiacciante e i protagonisti delle varie avventure sono costretti, loro malgrado, a vivere in un contesto post-apocalittico.

The Doomsday Machine è una collana antologica priva di protagonisti ricorrenti e include episodi autoconclusivi firmati da autori sempre diversi. Ha, quindi, i pregi e i difetti delle antologie. Da un lato c’è molta varietà grafica e narrativa; dall’altro, il livello delle opere è discontinuo. Intendiamoci, tutti gli autori coinvolti sono a dir poco talentuosi, ma inevitabilmente alcuni emergono più di altri, e in fondo è inevitabile.

Nel primo numero, Alessio Landi ci propone la terrificante vicenda di una ragazza inseguita da mostruose creature cannibali con intenti preoccupanti. Scrive testi efficaci e riusciti, coadiuvato dal tratto volutamente grezzo e contorto del bravo Pierpaolo Putignano. Massimo Rosi, invece, si diverte a giocare con i concetti delle intelligenze artificiali e dei robot, ideando una trama influenzata forse dalla fiction di Arthur C. Clarke, valorizzata dai disegni fluidi ed eleganti di Alessandro Cosentino.

L’albo si conclude con Officina Infernale, uno degli artisti più trasgressivi e anti-convenzionali degli ultimi anni, che scrive e disegna una folle storia post-apocalittica degna di Warren Ellis che non sfigurerebbe in un albo della Vertigo dei tempi migliori. Grazie a testi dall’impostazione ballardiana e burroughsiana e disegni da brivido impreziositi da splendidi chiaroscuri, Officina Infernale ci dona un’opera graffiante che non può lasciare indifferente nessuno.

Il n. 2 si apre con una storia dai toni horror di Massimo Rosi che si concentra su situazioni claustrofobiche e destabilizzanti, ben visualizzate dal segno aggressivo non esente da influssi indie di Giulio Ferrara. Roy, invece, punta sull’ironia dai toni inquietanti, delineando una story-line incentrata su uno strano e futuribile campo di divertimenti, assistito dai disegni piacevolmente aspri di Vyles. E si finisce con Giovanni Barbieri che propone una storia drammatica e all action che mi ha fatto pensare ai migliori esiti creativi della fantascienza britannica di area 2000AD. I disegni sono dello straordinario Francesco Biagini che dà sfoggio di uno stile raffinato, impreziosito da stupendi giochi d’ombra.

Il n. 3, invece, inizia con una vicenda ideata da Mario di Stefano, influenzata dall’immaginario di pellicole stile Interceptor, caratterizzata da un ritmo narrativo incalzante e ben resa graficamente dall’incisivo Luigi Consolante. Paul Izzo punta su situazioni horror inserite in ambientazioni fantascientifiche e scrive testi sarcastici e divertenti, avvalendosi del talento di Mirko Fascelli. Ritorna poi Massimo Rosi con una storia cupa e disperata che sembra voler rievocare la gloriosa tradizione americana della Warren. I disegni dell’ottimo Ignazio Piacenti sono dotati di una plasticità indiscutibile.

Nel complesso, dunque, The Doomsday Machine è un esperimento che va tenuto d’occhio. Se volete, quindi, scoprire una nuova e interessante realtà fumettistica italiana, questa è la proposta editoriale che fa per voi.

The Doomsday Machine 1-3 | Recensione è di MangaForever.net

Dark Frontier Ultimate Collection Vol. 1 | Recensione

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Leviathan Labs propone il primo volume di Dark Frontier, saga fantascientifica ideata da Massimo Rosi. In questa uscita avrete modo di leggere i quattro capitoli iniziali, in precedenza usciti per Weird Comics in bianco e nero. Questa riedizione si avvale, però, dei colori cupi e profondi della brava Pamela Poggiali, appropriati per il tono crudo e inquietante della vicenda. Dark Frontier può essere inserito nell’ambito della science-fiction distopica e apocalittica.

La trama, infatti, si svolge in America verso la fine del ventiseiesimo secolo e la vita per le persone è difficile. Innanzitutto, gli Stati Uniti sono ormai isolati da un muro che impedisce agli stranieri di entrarvi. Le disparità sociali ed economiche sono all’ordine del giorno, il crimine dilaga con teppisti, bande di strada e avventurieri senza scrupoli. Le autorità sono corrotte e in generale vige la legge del più forte.

Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno bisogno delle materie prime in possesso di altri paesi e di conseguenze le razzie ai danni di altre nazioni sono un fatto inevitabile. Tutto ciò crea un costante clima di tensione sociale. E l’atmosfera di tensione è ben descritta da Rosi che delinea una story-line dal ritmo narrativo veloce e sincopato, mai noioso. I protagonisti di Dark Frontier sono Max e Luc. Si sono conosciuti quando facevano parte di un esercito di rivoluzionari che si opponeva al potere e da quel momento si sono innamorati. Max è coraggioso e la bella Luc non è da meno.

Senza spoilerare, tuttavia, specifico che nella storia Max si trova in pessime condizioni e Luc cerca di aiutarlo rimanendo coinvolta in una missione rischiosa che la metterà a confronto con le peggiori pulsioni del genere umano. Rosi descrive un universo di violenza, abiezione e perversioni che potrà risultare disturbante. Ma è in linea con la trama a forti tinte che è l’elemento essenziale di Dark Frontier. L’azione è preponderante e, da questo punto di vista, è evidente l’influenza di film sul genere Mad Max; non mancano, però, momenti di introspezione, specialmente nei flashback che ci forniscono indizi sulle psicologie di Max e Luc.

Quest’ultima, in particolare, dietro l’apparente patina di donna tosta e volitiva, nasconde fragilità interiori che la rendono umana e credibile. Alcuni, recensendo Dark Frontier, ne hanno dato una lettura politica, in chiave anti-trumpiana. Secondo me, però, tale lettura è riduttiva. Di sicuro Rosi, con il pretesto della fantascienza, intende parlare anche del presente, occupandosi dei problemi legati alle discriminazioni e all’immigrazione e quindi anche all’amministrazione Trump. Ma io considero Dark Frontier qualcosa di più e cioè un fumetto che può essere interpretato in vari modi e persino essere considerato una futuribile love story incentrata su due amanti in difficoltà.

I testi e i dialoghi di Rosi sono curati e incisivi, mai retorici, e un altro punto di forza dell’opera è rappresentato dagli splendidi disegni del bravissimo Luca Panciroli. Il suo stile è aggressivo, il tratto è marcato e ciò che più colpisce è la cura certosina dei dettagli, palese nella rappresentazione delle armi, delle divise e soprattutto delle ambientazioni oscure, squallide e intimidenti dell’America post-apocalittica immaginata da Rosi. E’ la visione di un inferno dantesco reinterpreto dalla sensibilità cyber di William Gibson e Bruce Sterling.

I personaggi sono ben caratterizzati e il dinamismo e la potenza espressiva delle matite di Panciroli sono innegabili. Ho già citato i colori foschi e crepuscolari dell’ottima Pamela Poggiali che valorizza egregiamente l’arte del disegnatore.

Nel complesso, Dark Frontier è, quindi, una proposta da non trascurare che piacerà agli amanti della fantascienza e che fa ben sperare per il futuro del fumetto italiano. Da provare.

Dark Frontier Ultimate Collection Vol. 1 | Recensione è di MangaForever.net

Color Tex 15 – Un Capestro per Kit Willer | Recensione

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Quando le chiavi per guidare la macchina narrativa di Tex vengono affidate a Claudio Nizzi l’eredità di Gianluigi Bonelli si fa più viva e presente che mai.

Lo sceneggiatore che ha fatto la storia di Aquila della Notte dagli anni Ottanta in poi, dopo un periodo di pausa, è tornato qualche tempo fa a riprendere in mano le chiavi di quella prestigiosa vettura che da settant’anni rende la Sergio Bonelli Editore una delle più importanti realtà editoriali italiane.

Claudio Nizzi è tornato a scrivere una storia di ampio respiro di Tex, e lo ha fatto con un Color dal titolo Un Capestro per Kit Willer. La storia riesce a tirare fuori il meglio del rodatissimo canovaccio narrativo di Tex.

Abbiamo Kit Willer che si scontra con un giovane gradasso, tale Billy Corrigan, in un saloon di Holbrook. La colluttazione porterà entrambi a sparare, e Corrigan ad avere la peggio. Nascerà così una storia che porterà Kit Willer vicino all’impiccagione, e ad un processo, i cui esiti saranno più che incerti.

Claudio Nizzi scrive una storia texiana pura, nella quale vengono esaltate anche le classiche battute tra Aquila della Notte e Kit Carson. Ogni cosa è veramente al suo posto, e la storia scorre perfettamente. Nizzi ha anche la grande capacità di dare molto ritmo all’albo, alleggerendo i dialoghi e facendo scorrere la storia verso un finale ricco di suspense.

Se mai dovesse uscire un manuale del giovane apprendista sceneggiatore di Tex questo albo di Claudio Nizzi sarebbe l’ideale. Il veterano autore sa benissimo come dosare i vari elementi narrativi, creando una storia di pura azione (che richiama Un Dollaro d’Onore), e che sa svariare toccando verso il finale anche il genere procedural.

Color Tex 15, Mangaforever Color Tex 15, Mangaforever Color Tex 15, Mangaforever

Un  Capestro per Kit Willer è la storia che può racchiudere questa parte della stagione texiana: una lettura da portare sotto l’ombrellone per un po’ di svago estivo. Ma allo stesso tempo parliamo di un racconto senza tempo, che arricchisce il già ampio filone narrativo texiano.

Perché questa è una storia di padri e figli: Tex e Kit Willer, contro i Corrigan. Raramente negli ultimi tempi si era letta una storia di Tex capace di esaltare a tal punto le caratteristiche dei due Willer. Mentre Kit dimostra ancora la freschezza e l’ardore della sua gioventù, Tex è un uomo navigato, capace di affrontare in maniera risoluta anche le situazioni emotivamente più difficili.

Ad impreziosire questo albo ci sono i disegni di Rodolfo Torti, un artista legato ad un altro monumento bonelliano quali è Martin Mystère. Ed il tratto di  Torti aiuta molto a dare freschezza e dinamicità a questa storia.

I disegni di Torti, uniti ad i colori di Oscar Celestini, riescono a modernizzare molto il tratto classico di Tex, senza togliere nulla di ciò che è indispensabile per renderlo tale. Insomma, il Tex del futuro potrebbe benissimo avere lo stile di Torti.

I lettori più appassionati di Tex troveranno con Un Capestro per Kit Willer una lettura ideale per riassaporare la classicità del personaggio, resa fresca e dinamica da un tratto di disegno diverso dal solito, ma molto rispettoso nei confronti della tradizione del character. I neofiti invece potranno assaporare in 160 pagine la base di ciò che ha reso Tex una leggenda editoriale.

Insomma Un Capestro per Kit Willer è la lettura ideale per questo torrido periodo estivo, ma adattabile per ogni stagione. Un racconto di qualità che impreziosisce ancora di più la storia editoriale di Tex Willer.

Color Tex 15 – Un Capestro per Kit Willer | Recensione è di MangaForever.net

Dampyr 233 – I Grandi Antichi | Recensione

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Si conclude l’avventura dampyriana che ha portato Harlan Draka e i suoi compagni a scontrarsi contro i grandi antichi per difendere Khandaria, ed il multiverso.

L’armata capeggiata da Alastor è veramente temibile, e Dampyr con i suoi compagni non bastano. Per questo in I Grandi Antichi arriverà in loro soccorso addirittura il padre di Dampyr, Draka.

Mauro Boselli ha deciso di puntare decisamente sull’azione per questo albo conclusivo, mescolando l’elemento fantasy con l’horror. Infatti il nemico Alastor ha un aspetto decisamente dark, degno dei grandi Bogeyman letterari e cinematografici.

Ed in effetti di citazioni e riferimenti alla mitologia, alla letteratura ed al cinema ce ne sono tanti. Su tutti c’è ancora la presenza di Chtulhu, il quale però non sarà il mostro decisivo per Harlan e compagni.

I personaggi carismatici ed interessanti non mancano sia tra i cattivi, che tra gli alleati di Dampyr. C’è, ad esempio, Dandy, la guerriera da un occhio solo, che visivamente richiama le supereroine action degli anni Novanta.

L’azione scorre incessante in questo albo dal ritmo incalzante, che chiude in maniera godibile la storia aperta con La Compagnia Guerriera.

Ai disegni Maurizio Rosenzweig riesce a dare atmosfera con un tratto irregolare, linee marcate, e toni di grigio capaci di riempire qualsiasi spazio vuoto nelle vignette. Interessanti e suggestive sono anche le splash page utilizzate per esaltare i possenti mostri pronti a scontrarsi con Dampyr e compagni.

Questo mini ciclo narrativo è stato comunque un susseguirsi di elementi fantasy puri. Tutta la tradizione del genere viene omaggiata, passando da atmosfere e richiami all’Orlando Furioso, per arrivare al classico La Compagnia dell’Anello.

Dampyr 233, Mangaforever Dampyr 233, Mangaforever

Dampyr 233, Mangaforever

Perché già il titolo dello scorso albo, La Compagnia Guerriera, richiama l’unità di gruppo e d’intenti del romanzo tolkieniano. Il cameratismo di questo ciclo narrativo è infatti quello presente anche, e soprattutto nelle storie di Tolkien. Perché i guerrieri che combattono per la difesa di Khandaria sono un esercito capace di richiamare per tanti elementi Frodo e compagni di tolkieniana memoria.

La tradizione fantasy a livello di storie e combattimenti di gruppo parte chiaramente con Re Artù, ma gli alleati khandariani di Dampyr sono decisamente meno epici, e molto più divertenti e godibili.

Insomma, Mauro Boselli per questo mini ciclo narrativo, che unisce gli albi La Compagnia Guerriera e I Grandi Antichi, ha voluto proporre una storia con forti richiami di genere, ma capace di risultare godibile, e non troppo pesante.

I Grandi Antichi è infatti un albo di pura azione, con pochissime pause, indispensabili però a introdurre momenti e personaggi fondamentali, quali il padre di Harlan Draka.

La forza delle storie di Dampyr è la versatilità totale. Stiamo infatti parlando di un personaggio in grado di svariare dallo spy al fantasy, all’horror puro. E tutto questo senza mai snaturare lo spirito di Harlan, ma anzi arricchendolo di sfumature.

I Grandi Antichi è perciò un albo che s’inserisce nel filone fantasy delle storie dampyriane, e che ne rispetta i canoni e lo spirito. Del resto lo sceneggiatore e curatore della testata Mauro Boselli è anche il creatore del personaggio. Perciò chi meglio di lui riuscirebbe ad adattare e inserire Harlan Draka in qualsiasi contesto narrativo possibile?!

Ed è questa la forza di Dampyr e delle sue storie.

 

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Volt 2×04 | Recensione

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Dopo essersi temprato nella fumetteria in cui lavora, tra clienti di tutti i tipi (vedi Nerdonomicon) e alle prese con la costante minaccia delle M.O.M.S., è tempo per il piccolo robottino di The Sparker di muovere concretamente i primi passi verso il sogno di una vita: diventare un fumettista! Sulla sua strada, però, sono pronti a presentarsi ulteriori ostacoli (letteralmente parlando!): ce la farà Volt a tenere duro e realizzare finalmente il suo desiderio? E, cosa più importante: sarà abbastanza allenato (sempre letteralmente parlando, ovviamente)?

IL CONCORSO (CON CORSA) PER FUMETTISTI

La vita in fumetteria sembra, ormai, essere diventata per Volt la normalità: i clienti (più o meno fastidiosi, vedere sempre Nerdonomicon) sono ormai alla sua portata, ed è tempo dunque per lui di salire un ulteriore gradino di quella scala che dovrebbe condurlo a intraprendere la tanto agognata carriera da fumettista. Incoraggiato dai suoi amici (sarà davvero così?) il piccolo robottino si iscrive ad un concorso per fumettisti con in palio la pubblicazione, che si preannuncia però da subito pieno di ostacoli: nella giura, è presente anche uno degli editori della Ophiuchus Publishing, la “vecchia” tigre che ha creato non pochi problemi a Volt nel numero 6 della prima stagione.

Per non destare troppi sospetti e attirare problemi, decide così di assumere l’identità de El Rayo (ci ricorda qualcuno, ma al momento siamo troppo pigri per pensarci…) e partecipare senza paura. Ma il concorso si preannuncia tutt’altro che una semplice selezione di progetti…Volt dovrà iniziare una vera e propria corsa contro il tempo, sfuggendo a tutti gli ostacoli (sempre inteso letteralmente, non lo avete capito!? Eppure Zerocalcare dovrebbe aver già enfatizzato situazioni del genere!) che, quotidianamente, mettono i bastoni tra le ruote di un’aspirante fumettista.

IL MONDO DEL FUMETTO IN UN CONCORSO PER FUMETTISTI DI UN FUMETTO

La messa alla prova delle abilità artistiche, caratteriali e fisiche di Volt viene messa a dura prova in un concorso che, con il solito stile ironico e mai banale di The Sparker, accompagnato da un tratto quasi unico e che fa venire voglia di prendere i personaggi ed abbracciarli, rende omaggio al mondo del fumetto: tra partecipanti (per sapere quali dovrete leggere il fumetto, non possiamo mica dirvi tutto!) ed ex-vincitori vengono citati, e rappresentati con simpatici alter-ego, tantissimi autori del grande panorama fumettistico italiano. La grande sfida di Volt sarà quella di affrontare problemi legati all’autore e, in generale, al mondo dell’editoria, per un excursus in tutto il sistema che permette a noi di leggere un prodotto fatto e finito.

Demoni personalizzati (ricordate Zerocalcare sì?) si frapporranno fra il robottino e il suo obiettivo, con nuovi e vecchi amici (come il Sogno, anch’esso personalizzato, di ritorno nella serie) pronti ad accompagnarlo in questa sua prima grande sfida. Ce la farà Volt, o verrà schiacciato dalle circostanze? Stefano Conte rimanda al prossimo appuntamento con la serie per scoprirlo, ma quest’albo già si candida a più bello, intenso e assolutamente spiritoso dell’intera serie…le citazioni di Robocop nella storia principale (sempre Vivo o Morto) e le consuete storie dell’Uomo Pigro (questo nemmeno volevamo aggiungerlo, ma non siamo pigri come lui…forse) insieme alle storie tratte da fatti realmente accaduti nelle fumetterie di tutta Italia, arricchiscono un numero assolutamente imperdibile.

Volt 2×04 | Recensione è di MangaForever.net

The Barbarian King 1 – Le Spade Spezzate | Recensione

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Nel corso degli anni molti si sono cimentati nel tentativo (a volte riuscito, a volte no) di tradurre in fumetto il mondo creato da Robert Erwin Howard: graficamente, tra gli altri, possiamo ricordare Barry Windsor-Smith con il suo Conan elegante, John Buscema e Neal Adams, che cercarono una adesione al Conan letterario, Roan Toulhoat, per quanto riguarda l’ultimo esperimento Glénat, fino ad arrivare a colui che ha definito il Conan che tutti noi conosciamo graficamente, Frank Frazetta.

Insomma, molti si sono confrontati con uno dei migliori (e più profittevoli) personaggi letterari mai creati, quindi era lecito aspettarsi qualcosa di particolare nel tentativo posto in essere dai ragazzi di Leviathan Labs (e da Red Dragon): e quel qualcosa innanzittuo è l’ambientazione, con un Conan anziano (di circa 15 anni rispetto a quando l’abbiamo visto ne L’ora del dragone), stanco ed annoiato della vita di corte e dei suoi ingranaggi così radicati e così ripetitivi; il tempo dell’azione è finito da molto ed anche il charadesign dell’eroe si è visto rimaneggiato, con un Conan dotato di lunga barba, cicatrici che gli solcano il viso, ma con una muscolatuta ancora possente.

Ciò che traspare subito dalla prima lettura, comunque, nonostante la volontà di creare una storia nuova, è l’aderenza all’opera originale di Howard, di cui (se non tutti) molti del team creativo sono grandi appassionati. La Torre dell’Elefante (già portato in fumetti con Conan the Barbarian Vol. 1 n. 4) è la base sui cui comincia la nostra nuova storia, con il mago della torre, Yara, a introdurre questa avventura del cimmero, che tuttavia ben presto presenterà anche un avversario originale, tratto da un mito ancestrale. Successivamente le vicende chiameranno a sé anche altri protagonisti del passato, tra cui Salomè, che aveva conosciuto, scontrandocisi, il nostro eroe già in Nascerà una strega.

Nonostante ci troviamo di fronte ad un numero uno, quindi, non è un inizio, ma una continuazione delle avventure classiche di Conan, quindi saremo subito immersi nell’azione e ciò senza soluzione di continuità per l’intero albo. Il ritmo infatti è costantemente votato al pathos ed all’avventura come ci si aspetterebbe da ogni albo che veda protagonista il Cimmero. L’opera degli sceneggiatori coinvolti nel progetto, ovvero Massimo Rosi (Morning Star) e Alessio Landi (Winterdeth), è dunque davvero un omaggio all’opera originale, che si innesta nella tradizione che amiamo di Conan, ma che la sa rileggere in chiave moderna presentandola ai lettori delle nuove generazioni.

Se gli sceneggiatori sono due, i disegnatori sono invece addirittura tre: Luca Panciroli (Erinni con Ade Capone ed autore anche della copertina), Federico De Luca ed infine Alessandro Bragalini (Fear Agent per Dark Horse); stili diversi che si amalgamano bene nella narrazione, anche se distanti nella loro essenza: Alessandro Bragalini, ad esempio, ha un tratto meno preciso, che tende ad abbozzare le figure, mentre Luca Panciroli mostra la sua abilità nella costruzione dei corpi grazie al suo tratto possente, forti e muscolosi quelli maschili, eleganti e sensuali quelli delle donne. Nella costruzione di Conan, infatti, si è cercato di rispettare la tradizione iconografica che ce ne ha consegnato una caratterizzazione abbastanza fissata nel tempo: nei limiti concessi dalle descrizioni di Howard, dunque, Luca Panciroli, Alessandro Bragalini, Federico De Luca e il colorista Marco Imbrauglio hanno dato vita ad un Conan nuovo e classico insieme, che rimane fedele al canone imposto ormai da Frazetta negli anni della giovinezza, mentre mostra caratteristiche inedite in quelli della maturità. Il corpo, massiccio come sempre, ha un vestiario che ripercorre la sua vita, portando caratteristiche di diverse regioni che ha attraversato negli anni. Una menzione anche a Marco Antonio Imbrauglio, dunque, per i colori ed anche agli ambienti ed alle architetture utilizzate, che si richiamano alle descrizioni originali di Howard.

Il volume è arricchito da una gallery e da una intervista allo sceneggiatore Massimo Rosi, che ci parla della genesi del fumetto e di ciò che è alla sua base.

The Barbarian King 1 – Le Spade Spezzate | Recensione è di MangaForever.net

Tex Willer 10 – Pinkerton Lady | Recensione

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E finalmente venne il momento di Mefisto. Dopo i primi albi della serie Tex Willer (qui potete leggere alcune delle nostre recensioni) nei quali al fianco del giovane Aquila della Notte c’è spesso stata la principessa indiana Tesah, ora Mauro Boselli ha deciso di puntare sul carico pesante.

Nell’albo intitolato Pinkerton Lady gli elementi messi in gioco preannunciano un ciclo narrativo veramente gustoso e interessante. I personaggi protagonisti della storia sono Steve Dickart e la sorella Lily. Ma il nome d’arte del personaggio è Mefisto. Vi ricorda qualcuno?

Nel frattempo l’agente segreto Kate Warne deve proteggere il candidato al Senato dell’Illinois Abraham Lincoln (anche questo nome non vi suonerà nuovo). A contorno dei personaggi di questa storia ci sarà il giovane Tex, abile nel raggirare i giocatori che sfida a carte, ed a soccorrere la stessa Kate Warne, instaurando un sodalizio che lo porterà a vivere un vero e proprio intrigo politico.

Mauro Boselli (curatore e sceneggiatore di Tex) ha deciso di puntare alto, tirando fuori dal roster texiano il nemico per eccellenza di Aquila della Notte: Mefisto. In Pinkerton Lady il personaggio è ancora conosciuto come Steve Dickart, e si dedica assieme alla sorella Lily a rubare e delinquere, dilettandosi, nel frattempo, con gli spettacoli d’illusionismo.

Insomma, i due personaggi Tex e Mefisto, futuri acerrimi nemici, in questo albo si sfiorano ma non si scontrano. Il tutto è rimandato al prossimo numero, ma nel frattempo l’atmosfera sembra essere carica, e pronta a preannunciare tanta azione.

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Il giovane Tex in questo albo viene mostrato in tutto il suo ardore e spirito giovanile. Finalmente Boselli rappresenta un Aquila della Notte ancora ben distante da quel personaggio sicuro di sé e maturo che viene mostrato nella serie principale. Il giovane Tex è ancora una figura perfettibile, che ha dentro di sé lo spirito di uomo di giustizia, ma che nel frattempo si lascia trascinare dalla sua gioventù.

Anche la presenza della giovane ed abile Kate Warne fa pensare ad un possibile coinvolgimento sentimentale. L’intesa tra lei e Tex sembra funzionare, e sarebbe bello vedere Aquila della Notte dimostrare finalmente i suoi vent’anni anche dal punto di vista affettivo.

Inoltre, l’intreccio politico che vede coinvolto nientemeno che il futuro Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln sembra preannunciare una storia in stile James Bond in salsa texiana. 

Mauro Boselli è abile a rendere questo albo molto ritmato, presentando i vari protagonisti in situazioni diverse, alternando i vari filoni narrativi che ad un certo punto verranno ad intrecciarsi.

A rendere visivamente accattivante questo intrigante albo sono i disegni di Roberto De Angelis, il cui tratto realistico sembra dare una concretezza ed una solidità fotografica alle immagini. L’intensità delle vignette è notevole, ed impreziosisce una storia che meritava disegni all’altezza.

Il prossimo albo della serie Tex Willer si preannuncia quindi veramente intrigante e capace di attirare i lettori. La collana dedicata al giovane Tex sembra stia decollando, pronta a mostrare poco per volta tutti i più importanti personaggi della storia editoriale di Aquila della Notte.

E quando in una storia di Tex c’è anche Mefisto l’albo non può che preannunciarsi memorabile.

 

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Gaijin Salamander Vol. 1 – Samurai a Sangue Freddo | Recensione

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Nell’anno in cui è stato annunciato un nuovo episodio per la serie di Blacksad, Leviathan Labs (Boutique Publisher che collabora attivamente con Double Shot, Amigo Comics, Karras, Scout Comics e Action Lab) propone al pubblico italiano una nuova avventura con animali antropomorfi, con le firme tutte originarie del Bel Paese di Massimo Rosi (storia), Ludovica Ceregatti (disegni) e Renato Stevanato (colori). Ispirato dal poemetto omerico Batracomiomachia, Gaijin Salamander trasporta i lettori in un Giappone invaso, dove una salamandra straniera dovrà fare i conti con la propria identità e i valori dell’essere un samurai.

UN GAIJIN SENZA PATRIA

Cresciuto da straniero in un Giappone abitato da rane, la salamandra protagonista, rimasta orfana, diventa allieva dello stimato sensei pugno-sashimi, decenni dopo l’ultimo discepolo avuto dal vecchio maestro. Molti anni dopo la sua formazione, il Gaijin si troverà nel mezzo di una lotta di potere che coinvolge i vertici dello stato giapponese e delle sanguinarie lucertole, provenienti da Occidente e pronte a cancellare le millenarie tradizioni del Giappone in nome di biechi interessi economici.

 

Nella lotta tra le resistenze di un popolo che lo ha sempre visto, e continua a vederlo, come uno straniero, e i suoi spietati “simili” occidentali, la salamandra lotterà inseguendo la pace per conquistare il suo posto nel mondo e prendere finalmente coscienza del suo essere, portando con sé i nobili insegnamenti da Samurai del sensei pugno-sashimi e il ricordo della sua amata.

LA PACE IN TEMPO DI GUERRA

Il conflitto socio-politico, gli intrighi, lo scontro fra culture, le battaglie e le azioni orchestrate in Gaijin Salamander sono un più ampio contenitore per enfatizzare il vero nucleo fondante del fumetto: le riflessioni esistenziali della giovane salamandra. Cresciuta in un paese non suo, avendo perso gli unici due animali (il maestro e l’amata, più che mai antropomorfi) che davano un senso alla sua vita, la salamandra percorre nel corso del fumetto un percorso che gli permette di trovare le proprie radici né nell’aspetto né nelle usanze, quanto in un educazione da Samurai intrisa dei più nobili valori umani. Oltre a denunciare la crudeltà e l’insensatezza della guerra, l’intera opera suggella la vittoria della spiritualità sulla materialità, la libertà di essere se stessi a prescindere dalla propria etnia in funzione di diventare una persona di valore.

 

Le tematiche psicologiche e spirituali offerte dal personaggio della salamandra, presentate da alcuni monologhi (per larga parte intrisi di riflessioni filosofiche ed esistenziali) perfettamente esposti da Rosi, vengono seguite da una meravigliosa realizzazione grafica: il contrasto di colori guida la narrazione e il cambiamento di tono delle varie scene, coi piani del presente (l’azione “scenica”) e quelli del passato (lo spazio del ricordo) che si susseguono filtrati dalla sensibilità del protagonista tramite disegni “limpidi”, luminosi, che non mancano di presentare fondali mozzafiato ricreanti l’atmosfera unica che solo il Giappone può offrire. D’altronde, già le prime pagine del fumetto (che chiameremmo quasi una sorta di “preludio) giocano con un susseguirsi di tavole richiamanti alle stampe giapponesi, capaci di introdurre allo spazio del “mitico”, a cui si può ricondurre l’intera vicenda esistenziale del gaijin.

 

Pur essendo una nuova realtà Leviathan Labs, con l’intensa e completa storia raccontata in Gaijin Salamander, promette di prendersi ampio spazio nel mercato italiano, puntando su un imponente impatto emotivo ricco di riflessioni per il lettore, accordato ad una moderna realizzazione grafica che non rinuncia all’effetto suggestivo misto di stupore e malinconia che da sempre, ad esempio, ha offerto l’acquerello. Il fumetto offre una storia avvincente, di formazione “spirituale” per la giovane salamandra alla ricerca del suo più nobile scopo in questa vita.

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Dylan Dog 395 – Del tempo e di altre illusioni | Recensione

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Dopo aver accompagnato Dylan in avventure che si sono svolte prevalentemente all’interno di uno spazio metafisico ben definito (vedi i numeri 390 e 391), ora tocca affrontare il tempo e come esso si interseca in maniera ingarbugliata dentro se stesso.

A darci il “la” verso la lenta conclusione del chiacchierato Ciclo della Meteora è lo sceneggiatore e disegnatore Carlo Ambrosini, che affronta, da autore unico, una storia da 192 pagine, divisa nei due numeri della serie regolare dei mesi di agosto e settembre 2019. Dopo una breve introduzione, capitanata da John Ghost che parlando direttamente al lettore presenta ciò che sta per iniziare, si apre il sipario su un film muto degli anni Venti: Stromboli, di Adolf Meyer. Una storia che racconta un mito romano: un sacrificio da parte del re di Lipari che doveva fermare l’eruzione del vulcano Stromboli, nel 500 a.C.
Dylan e Groucho, nonostante l’incombenza dell’apocalisse, si godono un attimo di normalità in un cinema che proietta vecchie pellicole restaurate. Poco dopo il termine della proiezione del film, che risulta essere incompiuto, Dylan si imbatte in una tenera libraia e, quasi subito dopo, nella sua ex fidanzata Melissa Martini, figlia dell’artista Vulcano Martini recentemente scomparso. L’indagatore si perde quindi nei ricordi di una bollente estate, immerso in un rendez-vous estivo (che richiama alla memoria le atmosfere de Il lungo addio) con la stessa Melissa, ricordando di una caverna dove i due si sono nascosti e dove hanno incontrato un bambino che somiglia in maniera impressionante al bambino muto comparso qualche tavola prima.

Da qui, Ambrosini avvolge i sensi dei lettori in una coperta temporale che oscura la vista e gli altri quattro sensi (compreso il quinto senso e mezzo), shakerando la mente e spruzzandola in diversi livelli temporali, che si diversificano tutti l’uno dall’altro per un dettaglio fondamentale. Il vortice di terrore all’interno del quale è avviluppato Dylan sembra non avere uscita, se non per mano di un personaggio tanto vecchio quanto nuovo che, usando il film Stromboli, riesce a spiegare quanto la meteora stia mettendo in crisi divinità e personaggi leggendari (ma non troppo).

Difficile dare un giudizio completo a queste prime 96 pagine della storia, senza avere già la seconda parte sotto mano. Ambrosini si accomoda su tutte le pagine, soffermandosi sui singoli momenti e sulle espressioni dei volti dei vari personaggi, oltre a dare grande spazio alla narrazione visiva del film muto. L’apertura del numero 395 con scene provenienti da un film degli anni Venti (scritto e sceneggiato dallo stesso Ambrosini) ci interconnette a un periodo storico ben preciso, il primo dopoguerra, intuibile anche dal nome del regista di Stromboli (Adolf Mayer), che richiama immediatamente al dittatore Adolf Hitler e al regista principe del cinema espressionista tedesco Carl Mayer. Sia le tematiche che il periodo storico sono tanto cari a Dylan Dog e dimostrano che Carlo Ambrosini è davvero un autore Bonelli completo, capace di prendere in mano il personaggio di Dylan e sviscerarlo e ricostruirlo a 360°, senza dimenticare alcun aspetto secondario e risaltando il vero orrore, ovvero l’incontrollabile gestione del Caos e di forze metafisiche che si ripercuotono sul vivere quotidiano.

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Nathan Never – L’ultima onda e altre storie | Recensione

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Con la malinconia di fine estate che affiora anche tra gli appassionati di fumetti, ecco che la Sergio Bonelli Editore ha trovato il modo migliore per accompagnare i lettori anche in questo periodo particolare della stagione.

Nathan Never. L’ultima onda e altre storie è una raccolta incentrate su vari generi, ma con un racconto che dà il titolo al volume, capace di evocare proprio l’atmosfera malinconica di fine estate, e di un periodo positivo e irripetibile della vita.

La raccolta si apre con “Operazione Drago“, storia a metà tra i film di Bruce Lee e quelli di James Bond. Alla base dell’intreccio c’è il tentativo di Nathan Never di recuperare dei pericolosi batteri, in grado di mettere a rischio la salute globale, e che sono nelle mani del pericolosissimo Athos Than. Quest’ultimo abita a Dragon Island, luogo nel quale organizza tornei di arti marziali.

Il secondo racconto a fumetti proposto nella raccolta è “Cuore di Tenebra“, storia nella quale viene rievocato un capolavoro della letteratura quali è proprio l’opera di Joseph Conrad che ha ispirato il cult cinematografico Apocalypse Now. In questo racconto l’obiettivo di Nathan Never è quello di recuperare il professor Korzeniowsky, esperto di malattie infettive inviato in Margine per studiare il segreto di un popolo, immune all’infezione che sta devastando il mondo.

L’ultima storia è quella che dà il titolo al volume: L’ultima onda“, rievoca un altro cult cinematografico quali è Un mercoledì da Leoni, una storia di formazione piuttosto nostalgica. Lo stesso tipo di sensazioni vengono rievocate in questa storia nella quale Nathan Never incontra nuovamente Randy, un vecchio amico dei tempi dell’accademia spaziale, con il quale ha condiviso tante passioni, tra cui quella per il surf.

Nathan Never, Mangaforever Nathan Never, Mangaforever Nathan Never, Mangaforever

La qualità narrativa di queste storie di Nathan Never è piuttosto alta. Bepi Vigna si è sbizzarrito con il citazionismo, inserendo, all’interno di trame intriganti con Nathan Never protagonista, elementi provenienti dalla letteratura e dalla cinematografia. Ogni storia mette in luce una sfaccettatura del personaggio: dall’approccio avventuroso e spavaldo proposto in “Operazione Drago“, alla malinconia e riflessione evocata in “L’ultima onda”.

Bepi Vigna è in grado di gestire bene il ritmo delle storie, alternando azione ed introspezione dei personaggi. Mentre i disegni di Stefano Casini s’ispirano allo stile di Frank Miller che ha raggiunto il suo culmine negli anni Ottanta con Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, e che è stato consacrato in bianco e nero dall’opera Sin City.

Lo stile milleriano di Casini si adatta bene alle atmosfere sci-fi action di Nathan Never, offrendo delle soluzioni visive decisamente diverse da quelle tradizionalmente proposte dai fumetti della Sergio Bonelli. Anche l’approccio alla gabbia delle vignette è meno bonelliano, e più stilizzato, adatto per creare dinamismo ed affascinare il lettore.

Tutti coloro i quali vogliano leggere delle belle storie a fumetti con tanta azione ed un’impronta di genere marcata, questo volume di Nathan Never non potrà che soddisfare i lettori. Anche coloro i quali volessero scoprire per la prima volta il personaggio in L’ultima onda e altre storie troveranno le coordinate di base che hanno reso l’investigatore dell’agenzia Alfa uno dei più importanti personaggi della SBE.

 

Nathan Never – L’ultima onda e altre storie | Recensione è di MangaForever.net

Dampyr 234 – Le Torri di Carcosa | Recensione

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Se Corrado Roi disegna una storia di Dampyr vuol dire che quell’albo sarà automaticamente un numero memorabile. Mauro Boselli per questa nuova storia della serie con protagonista Harlan Draka, intitolata Le Torri di Carcosa, ha scelto un disegnatore d’eccezione (solitamente impegnato con un altro celebre personaggio della Sergio  Bonelli Editore, ovvero Dylan Dog) per realizzare un albo piuttosto importante della serie dampyriana.

Perché Le Torri di Carcosa è un albo particolare. Al centro della storia c’è la città mistica di Carcosa, che Dampyr ed i suoi compagni raggiungeranno attraverso un viaggio nel multiverso. Nyarlatothep sta tentando un piano diabolico capace di mettere a rischio l’intero multiverso. E poi c’è il personaggio di Kurjak che sarà ancora una volta centrale. Dampyr è disposto a tutto pur di salvarlo, ma da Kurjak dipende anche il destino dell’intero Multiverso.

C’è tanto Lovecraft in questo albo che mischia il fantasy con l’horror, e cita ampiamente Cthulhu, che nel multiverso di Dampyr è una minaccia che si annida spesso tra i meandri delle tante realtà esplorate da Harlan Draka.

E poi c’è la dimensione onirica. Tutto del resto parte dai sogni del piccolo Emik, che vede Carcosa nelle sue visioni. La città sospesa nel crepuscolo è un luogo raggiungibile attraverso un’altra dimensione e percezione delle cose.

Così come nel precedente albo, anche questa volta abbiamo a che fare con un mondo lontano, e con il multiverso, attraverso cui Dampyr si muove, tentando di tenere in equilibrio le varie realtà esistenti. E la conclusione di Le Torri di Carcosa fa intendere che le avventure nel multiverso non sono ancora finite.

Le Torri di Carcosa, Mangaforever Le Torri di Carcosa Le Torri di Carcosa

Boselli riesce a raccontare una storia sospesa tra fantasia e realtà con grande ritmo, gestendo bene l’abbondanza di personaggi e gruppi demoniaci pronti allo scontro per prevalere nel multiverso.

Con il suo tratto leggero, fatto di chiaroscuri Corrado Roi è il disegnatore ideale per raccontare una storia che sembra essere ambientata tra fantasia e sogno.

L’atmosfera dell’albo è sognante, eterea, fatta di mostri e personaggi grotteschi, ambientata in una zona del crepuscolo indefinita. Ci troviamo di fronte ad una storia memorabile di Dampyr, certamente uno degli albi più caratteristici.

Storie del genere riescono a testimoniare la totale versatilità del personaggio, e la capacità di un maestro del fumetto, quali è Mauro Boselli, di saper scrivere delle trame di qualsiasi genere, sapendoci calare all’interno personaggi simbolici della Sergio Bonelli Editore (ricordiamo infatti che Boselli è anche il curatore di Tex).

Insomma, Le Torri di Carcosa è l’albo ideale per mettere in rilievo il potenziale peso letterario dei fumetti di Dampyr. Un personaggio del genere sarebbe stato più che celebrato se solo fosse appartenuto ad una saga letteraria. Per citare la recente polemica aperta dalle dichiarazioni di Toni Servillo, tutt’oggi il mezzo fumetto viene svalutato, ed i suoi personaggi e le sue storie a volte non vengono esaltati a dovere.

Dampyr, nonostante sia una serie bonelliana diretta ad un pubblico meno ampio rispetto a serie come Dylan Dog e  Tex, ha uno spessore letterario notevole, che in albi come Le Torri di Carcosa riesce a spiccare in maniera assoluta.

Merito di ciò va ad un maestro del fumetto quali è Mauro Boselli, che questa volta ha elevato l’albo della serie dampyriana grazie ad un disegnatore d’eccezione quali è  Corrado Roi.

Quindi, per concludere, Le Torri di Carcosa è un fumetto imperdibile per i dampyriani, e non solo.

 

Dampyr 234 – Le Torri di Carcosa | Recensione è di MangaForever.net


Tex 707 – La Figlia di Satania | Recensione

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Ritorna un personaggio che ha fatto parte della storia di Tex. La figlia di Satania pone i lettori texiani di fronte ad un amarcord che mescola passato e presente, per un cocktail che il curatore e sceneggiatore Mauro Boselli ha saputo gestire a dovere.

Il ciclo narrativo aperto con La Maschera di Cera, e portato avanti con Il Club dei Tredici, si conclude con questo albo nel quale Tex e Kit si ritroveranno ad un passo dalla morte, intrappolati dalla figlia di Satania. Le strade di Los Angeles sono oscure e piene di misteri, e dietro agli atti delittuosi compiuti nella città degli Angeli si nasconde proprio la maschera femminile che ha già in passato affrontato Tex. Questa volta però Aquila della Notte dovrà capire chi è la figlia di Cora Gray.

Mauro Boselli si dimostra abile nel tessere una trama portata avanti per tre albi, e che raggiunge il suo climax nella seconda parte di questo albo. L’identità della figlia di Satania sarà sorprendente, e nasconderà più colpi di scena.

Solitamente trame del genere, capaci di mischiare le atmosfere western di Tex con il thriller, vengono affidate ad un esperto di questi canovacci quali è Pasquale Ruju. E invece Mauro Boselli ha voluto assumersi la responsabilità di creare un’avvincente trama thriller noir, mettendoci dentro un personaggio classico della storia di Tex.

Del resto il fatto di ripescare dal passato editoriale di Aquila della Notte uno storico vecchio villain era un compito gravoso, e Mauro Boselli è un esperto nel tessere trame capaci di catapultare nel presente vecchi character texiani.

Tex - La figlia di Satania Tex - La figlia di Satania Tex - La figlia di Satania

Perciò c’è da dire che l’esperimento è riuscito perfettamente. La figlia di Satania chiude un ciclo narrativo veramente intrigante, ambientato in una Los Angeles ancora ben lontana da quella che ammiriamo ai giorni d’oggi, capace di nascondere tante sottotrame, e molti misteri.

Mauro Boselli ha deciso di farsi supportare dai disegni da Michele Benevento, il quale riesce a mantenere la rocciosità fisica dei personaggi tipica di Claudio Villa, aumentando la dinamicità delle vignette. Il risultato è un albo ricco di movimento ed azione, capace di far entrare ancora più il lettore all’interno della storia.

La storia di Satania è sicuramente intrigante. I villain texiani sono personaggi carismatici, il cui passato sarebbe degno di storie spin-off apposite. La soluzione adottata da Boselli per rivelare alcuni dettagli del passato di Satania, inserendone la figlia come villain principale di questo ciclo narrativo, è stata un’idea intrigante, e che ha pagato in positivo per lo sviluppo di questo albo.

Satania (alias Cora Gray) è apparsa per la prima volta nell’albo numero cinque di Tex. Si tratta quindi di un personaggio con radici ed un passato editoriale antichissimo, ripescato da Mauro Boselli per una storia che fa da ponte tra passato e presente.

Ed è questo il marchio di fabbrica del curatore della serie. Nessuno come Boselli è in grado di scavare nella mitologia texiana per trovare personaggi primari, secondari e terziari da mettere al centro di una storia. Del resto la frontiera del West è ampia, e gli oltre settecento numeri delle serie regolare di Tex possono offrire ampi spunti per raccontare una quantità vastissima di storie.

E La figlia di Satania è uno di quegli albi che un lettore texiano non vede l’ora di leggere per assaporare ancora una volta la magia di Aquila della Notte.

Tex 707 – La Figlia di Satania | Recensione è di MangaForever.net

Kentucky River di Mauro Boselli e Angelo Stano | Recensione

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L’epopea americana ritorna raccontata da due autori d’eccezione, e proposta in un formato bonelliano di pregio. Kentucky  River è il seguito di Mohawk River, il racconto di Mauro Boselli ed Angelo Stano del percorso della famiglia Chapman attraverso alcuni dei più importanti avvenimenti della storia degli Stati Uniti d’America.

In questo secondo capitolo del percorso trovano spazio anche gli indiani Shawnee, alleati delle forze britanniche in guerra contro i coloni americani. Sullo sfondo di questa battaglia, determinante per arrivare all’indipendenza degli Stati Uniti, vengono inquadrate le storie della famiglia Chapman.

Mauro Boselli ed Angelo Stano stanno portando avanti quest’operazione di riscoperta della tradizione storica americana, vista in una chiave avventurosa ed avvincente. Riuscire a conciliare l’avventura con l’attenzione storica non è un’operazione semplice. Infatti, mentre Mohawk River soffriva questa difficoltà, in Kentucky River il ritmo della storia è molto più intenso, ed anche il livello introspettivo dei personaggi protagonisti è meglio approfondito.

Certo, queste storie mettono molta carne al fuoco, ed a volte c’è il rischio che qualche aspetto della narrazione venga un po’ sacrificato. Ma Kentucky River riesce ad incanalarsi verso la strada giusta. Perché l’idea di seguire attraverso delle storie a fumetti il percorso di alcuni personaggi, se non di una famiglia intera, è un aspetto piuttosto affascinante. Ma per riuscire a raggiungere questo obiettivo nel modo migliore possibile è importante che il lettore riesca a empatizzare con ognuno dei protagonisti.

E Kentucky River scende più nel profondo della famiglia Chapman, seguendo il percorso del giovane Nick e del fratello Daniel, mostrando anche i legami con Rivers. La colonia di Transylvania diventa il centro focale delle storie dei personaggi, ed a fungere da collante e da character carismatico c’è il capitano Daniel Boone.

Kentucky River Kentucky River Kentucky River

In tutto ciò il tratto di disegno di Angelo Stano è attento nel rappresentare i singoli personaggi enfatizzandone l’emozioni, oltre che la tanta azione che sta al centro di Kentucky River. Le pagine del fumetto vengono divise in gabbie che tendono ad esaltare una narrazione cinematografica, che lavora tramite inquadrature capaci di passare rapidamente dal singolo dettaglio ad una scena più ampia e dinamica.

E questa è stata la grande capacità di Boselli e Stano. Il duo che ha narrato tramite balloon ed immagini la storia al centro di Kentucky River è stato abile ad alternare momenti più introspettivi dedicati ai personaggi, a grandi scene di combattimento. Ed anche all’interno dell’azione stessa Boselli e Stano hanno impostato gabbie con vignette capaci di dettare un ritmo cinematografico alla storia, dando potenza alle singole inquadrature.

Insomma, la capacità di saper raccontare storie a fumetti da parte di questi due monumenti del fumetto italiano è notevole. Unire Mauro Boselli ed Angelo Stano è come creare un dream team capace di esaltare i lettori di fumetti. Occorre una lettura attenta per notare la finezza con la quale testi e disegni sono in grado d’incastrarsi variando ritmo e intensità della narrazione a secondo delle situazioni raccontate.

Kentucky River non è sicuramente un volume a fumetti dedicato a tutti i lettori, ma gli amanti del fumetto d’autore, di storie d’avventura ben narrate, e di Storia in generale, potranno trovare in questa lettura un pezzo di maestria narrativa importante.

Kentucky River di Mauro Boselli e Angelo Stano | Recensione è di MangaForever.net

Il Grande Belzoni di Walter Venturi | Recensione

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La storia dell’avventuriero archeologo capace d’ispirare George Lucas per Indiana Jones viene raccontata da  Walter Venturi in un fumetto degno dei grandi racconti d’avventura.

Giovanni Battista Belzoni è stato un fenomeno da circo, un autodidatta, un improvvisato ingegnere, e soprattutto un formidabile archeologo. La sua storia realmente accaduta è degna di un grande romanzo, ed in effetti il personaggio ha ispirato libri, ed in questo caso fumetti. E pare che proprio il creatore di Star Wars lo utilizzò come modello per ideare il personaggio di Indiana Jones.

Belzoni ha origini italiane, ma è durante la sua permanenza a Londra che decide di avventurarsi in Egitto, dove sarà fondamentale per portare alla luce i grandi tesori delle Piramidi. Belzoni infatti fu il primo ad entrare dentro la Piramide di Chefren. Ad assisterlo fu la moglia Sarah, donna graziosa ma allo stesso tempo determinata nei momenti in cui il marito fu troppo distante emotivamente dal loro rapporto, e dalla realtà.

I personaggi di Sarah e di Belzoni sono al centro di una storia a fumetti, che è avventura ma anche racconto di un sentimento. Nel corso della narrazione Di Walter Venturi seguiremo i due protagonisti attraverso varie vicissitudini che li porteranno ad allontanarsi ed a riavvicinarsi diverse volte, fino ad un epilogo piuttosto sofferto.

Walter Venturi è abile a rendere una storia biografica, se pur avventurosa, capace di reggere i ritmi di un fumetto Bonelli d’azione. La vita di Giovanni Battista Belzoni si presta ad un racconto carico di ritmo e di momenti avvincenti, ma Venturi è comunque abile nel presentarlo in maniera accattivante, adatta alla lettura di un fumetto.

Il Grande Belzoni è una di quelle operazioni che alla Sergio Bonelli riescono costantemente, e con successo. Così come accade per l’epopea americana di Mauro Boselli ed Angelo Stano (raccontata in Mohawk River ed in Kentucky River) anche Walter Venturi riesce a calare la Storia all’interno del fumetto d’avventura, riuscendo con grande mestiere a portare a casa un ottimo risultato creativo.

Il Grande Belzoni Il Grande Belzoni Il Grande Belzoni

Il tratto di disegno di Venturi è nel più classico stile bonelliano: attento ai dettagli e piuttosto realistico. Il gusto di Gianluigi e Sergio Bonelli viene alimentato da storie a fumetti del genere: l’avventura è il tratto dominante della Sergio Bonelli  Editore.  Tex e Zagor sono le principali creazioni dei due Bonelli simbolo della SBE, ed in qualche modo anche gli autori che ne hanno raccolto il testimone devono essere capaci di rievocare quello spirito.

Il Grande Belzoni sotto questo punto di vista rappresenta una grande operazione, perché è un fumetto in grado di raccontare un pezzo di Storia suggestivo, ma allo stesso tempo d’intrigare i lettori con un bel racconto d’avventura. Inoltre, questo volume permette agli appassionati di apprendere la storia di un grande italiano del passato, l’ennesimo, a testimonianza del fatto che la nostra tradizione storica e culturale è degna di vanto ed orgoglio a livello mondiale.

Il Grande Belzoni rappresenta la lettura ideale per il lettore tipico bonelliano: colui che è a caccia di avventura, ma allo stesso tempo pronto a farsi incuriosire e stimolare da approfondimenti su luoghi, periodi e situazioni del passato capaci d’intrigare come fossero un grande romanzo.

Il Grande Belzoni di Walter Venturi | Recensione è di MangaForever.net

Zagor – Il Re delle Aquile | Recensione

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La storia di Zagor è ricca di personaggi di grande fantasia, e di nemici memorabili. La grande immaginazione di Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli), unita ai tanti riferimenti cinematografici, fumettistici e letterari dai quali l’autore poteva attingere, hanno creato una serie di personaggi bizzarri ma dal percorso intrigante (vedasi ad esempio Iron Man).

Il Re delle Aquile è un ciclo narrativo che racchiude le storie in cui è comparso un personaggio molto interessante della mitologia zagoriana. Dietro a questo personaggio misterioso ci stanno nascoste figure controverse come quella di Ben Stevens, le cui origini affondano in una tragedia consumatasi in un villaggio nel quale americani e indiani hanno vissuto una carneficina che non ha lasciato né vinti e né vincitori.

Nella prima storia Zagor supporterà i Munsee, la tribù che è soggiogata da un individuo mascherato camuffato da Aquila. Mentre nella seconda storia lo spirito con la scure supporterà l’ingegnere Robinson, anch’egli ricattato da un personaggio misterioso, e approfondirà le vicende che riguardano una tribù scomparsa nel nulla.

Il personaggio che fa da collante a tutto questo ciclo narrativo è proprio Ben Stevens. Non staremo qui a rivelare particolari spoilerosi della storia per chi non ha ancora letto questi storici albi, ma il personaggio camuffato da aquila ritornerà più volte, e sarà il portatore di storie che hanno un forte nesso con le radici di un popolo e con la sua distruzione.

Zagor è chiaramente un simbolo di giustizia e civiltà, e proprio questo ciclo narrativo contrappone lo spirito con la scure ed i suoi valori, ad un personaggio che ha utilizzato il dolore come arma di vendetta e ritorsione.

Chiaramente lo spirito citazionista di Guido Nolitta si evidenzia ampiamente all’interno di questo ciclo narrativo. Ne Il Re delle Aquile c’è un po’ di tutto: dal mistery, al wester, all’avventura. E c’è tutto un campionario di possibili riferimenti cinematografici e letterari dai quali il compianto Sergio Bonelli ha sicuramente attinto a piene mani.

Su tutti c’è il mito di Icaro, un personaggio capace di elevarsi sopra gli uomini, per poi essere condannato dalla sua stessa presunzione. Ed in effetti è questo il tema centrale di tutto questo arco narrativo. Il concetto dell’uomo che si sopraeleva su tutti gli altri, utilizzando una presunta superiorità per denigrare altri uomini, è ben evidente in Il Re delle Aquile.

Il duo autore di queste storie risalenti agli inizi degli anni Settanta è formato, oltre che da Guido Nolitta, da un Gallieno Ferri che è un monumento di Zagor. Lo spirito con la scure porta il suo marchio grafico anche in questi anni in cui il suo tratto non risulterebbe al passo con la contemporaneità, ma le cui basi e classicità sono la fonte d’ispirazione che regge tutt’ora la serie di Zagor. Insomma, ogni disegnatore contemporaneo deve passare da Gallieno  Ferri per realizzare uno Zagor identificabile con la sua tradizione.

Questo ciclo narrativo, nonostante in alcuni punti porti con sé qualche segno del tempo, evidenziando un ritmo e delle scelte narrative non proprio freschissime (vedasi il lunghissimo flashback finale), per buona parte delle sue oltre 400 pagine riesce a divertire e ad accompagnare il lettore in un arco narrativo pieno di avventura, ma anche ottime analisi introspettive.

Gli amanti di Zagor potranno riscoprire con questo volume un ciclo narrativo capace di rappresentare tutto il meglio di Nolitta e Ferri, mentre i neofiti potranno assaporare un passato denso di una fantasia che oggi come oggi è difficilmente rintracciabile in altre opere.

Zagor – Il Re delle Aquile | Recensione è di MangaForever.net

Ramo di Silvia Vanni | Recensione

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silvia vanni ramo mangaforever

Come Casper negli anni Novanta ci insegna (e come ce lo dimostra Deadbeat recentemente), un uomo che muore con una questione in sospeso rimane sulla Terra sotto forma di fantasma, fino a quando la questione non viene risolta da esseri viventi. Ma non è solo il desiderio di completezza quello che tiene ancorato al mondo dei vivi il protagonista di Ramo di Silvia Vanni, bensì un insieme di sentimenti talmente forte da stravolgere anche i viventi: amore e senso di colpa.

Fin da subito conosciamo Altea, una ragazza che ha appena perso il suo compagno e vive il suo lutto nella loro casa. Al suo fianco, invisibile e impalpabile, la osserva Omar, che ora è il riflesso di se stesso («Potete quindi chiamarmi Ramo»). Omar è morto ed è stata la causa della morte del fidanzato di Altea: il rimorso e il senso di colpa lo accompagno verso l’inizio del viaggio per l’aldilà, non prima di aver aiutato quella ragazza, per la quale prova il famoso sentimento con la A maiuscola. Tra i ricordi di Omar quando lavorava come pianista in un piano bar e quelli di Altea e la sua vita coniugale dalle tinte fosche, i due riescono a trovare la forza per riscrivere un futuro che sembra ormai già scritto e costruito.

Silvia Vanni (Fantafumino per i fan dei suoi webcomic) non è nuova alle pagine di MangaForever: in passato abbiamo parlato del suo delizioso one-shot su Wilder, dal quale si è evoluta in modo notevole. Già vincitrice del contest Lucca Project nel 2013, l’autrice approda in Bao Publishing in maniera abbastanza brutale ma carezzevole, come una mano che ti coccola mentre davanti a te il mondo si autodistrugge. Il concetto di morte si mostra fin da subito in maniera palese, senza troppi mezzi termini. Il fantasma di Omar – Ramo cerca la compagnia di Altea, la donna da lui amata e la causa del motivo per il quale è ancora sulla Terra con le sembianze di un fantasma. Il contrasto con un’atmosfera che sa di zucchero, the e maglioni di lana è capace di tenere il cuore del lettore avvolto in una morsa non troppo stretta, lunga fino all’ultima tavola. Solo alla fine del graphic novel si può finalmente riprendere a respirare. Non senza chiudere il cartonato con una piccola lacrima sul viso…

Vanni ha l’abilità di costruire scene che si raccontano da sole in un colpo d’occhio. Non si ha neanche il tempo di girare pagina che la storia salta agli occhi con dolce violenza, chiedendo al lettore di essere subito letta per immagini prima ancora che per parole. L’impostazione delle vignette è prettamente cinematografica, ma al tempo stesso sfrutta tutti gli spazi della tavola (o anche delle tavole) per definire una narrazione a fumetti armoniosa, romantica e amara al tempo stesso. Non solo: le linee morbide e “fluffy”, che si intervallano con flashback dalle linee ancora più “fluffy”, sottolineano ancora di più la parte drammatica della storia, suscitando la speranza di un happy hending per i due protagonisti. Ospite speciale: la gattina Rugola, che incarna a regola d’arte il ruolo dell’aiutante e che riesce, dopo molti tentativi “da gatta”, a unire e riunire ciò che vita e morte lasciano separati.

 

Ramo di Silvia Vanni | Recensione è di MangaForever.net

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